(La mia maratona di New York) di Marco Barberis
La sveglia suona minacciosa alle ore 4.30 dell' 11/01/2015 (data americana che si esprime in mm/gg/aa) nella stanza 906 dell'hotel Hampton Inn di New York City, nono piano, a pochi passi dal palazzo delle Nazioni Unite. Alla vigilia della maratona alle ore 3.00 della nottata cult di Halloween, si è passati all'ora legale spostando le lancette indietro di un'ora. Dai primi commenti mattutini sembra che molti atleti stranieri non lo sapessero, sapete com'è..se il buongiorno si vede dal mattino... benvenuti negli Stati Uniti d'America, ma un'ora in anticipo!! Dopo la sbornia del volo e le sei ore di fuso orario il mix sul viso di qualcuno risulta letale. Colazione con un po' di caffè, quello solubile americano, frutta a macedonia e cereali, sguardi persi da metronotte - per non dire da veri zombie - ed una leggera cantilena in sottofondo con le news in tv del baseball e del football americano. I pensieri sono positivi, nonostante tutto la carica nell'aria è palpabile e la voglia di divertirsi tanta. Sul tavolo della breakfast room durante la notte è comparso un vero casco di banane che sembra uscito illeso da qualche scazzotata da film di Bud Spencer e Terence Hill, non chiedetemi il perchè. Alla reception due ragazze sorridenti che sembrano estranee dalla dinamica notte/giorno di noi comuni mortali e nonostante i telefoni siano infuocati già di prima mattina ripetono all'uscita con voce squillante “Hi, have a good marathon!!”. Alle 5.30, ci attende il bus per Battery Park, il parco pubblico a Sud dell'isola di Manhattan. Dopo una decina di minuti la temperatura interna del mezzo sale inesorabilmente oltre i 75°F al punto da sembrare un vero forno ventilato. Gli americani si sa, non amano le mezze misure, a partire dal riscaldamento e dalla climatizzazione dei locali. Solo il primo della fila - probabilmente perchè sul punto di esplosione come un chicco di mais in una pentola da pop corn – ha il coraggio di suggerire all'autista di abbassare un po' il riscaldamento. Naturalmente egli, dopo un cenno di compiacimento ed un sorriso, scaturito forse dal proprio grande orgoglio americano, sposta la manetta del fan coil in modalità circolo polare artico facendo precipitare a picco la temperatura interna. Not bad, pazienza, oggi si corre la Maratona di NY!! Fuori le condizioni meteo sembrano buone nonostante le buie strade di Manhattan, - le metropoli americane a differenza di quelle europee sono scarsamente illuminate - il cielo sembra nuvolo, la temperaura fresca e ottimale 59° Fahrenheit (15°C). Autunno caldo quello newyorkese targato 2015: i cicloni e le tempeste hanno deciso di infierire - per nostra fortuna – solo sulla costa Ovest degli Stati Uniti.
A Battery Park ci aspetta un salone polifunzionale attrezzato per l'imbarco dei passeggeri sui battelli in direzione Staten Island ed avvengono i primi controlli con i cani antidroga ed antiordigni; lo stato di allerta dopo l'attentato del 15 aprile 2013 alla maratona di Boston rimane sempre elevato. Degni di nota sono i banchetti che vendono ciambelle fritte caramellate accompagnate da ananas fresco, oserei dire tipici alimenti consumati dai maratoneti prima di uno sforzo fisico .. ??!?. Davanti a me un uomo con un cappello da cowboy ed un mantello nero che puzza maledettamente di alcol. La domanda mi sale spontanea: ma costui conciato in questo modo correrà la maratona? La risposta credo sia ovvia: si! (Lo ritroverò poi al decimo chilometro al fianco di un soggetto vestito da uomo ragno, un déjà vu). Dopo una breve attesa in loco ed una mezz'ora di traghetto nella Upper Bay, la baia generata dal fiume Hudson verso l'oceano Atlantico con vista albeggiante sulla Statua della Libertà, ci aspetta una carovana di bus - decine e decine di bus - che a circuito continuo sbarcano i passeggeri fino al villaggio di partenza. Ogni attesa è sempre caldeggiata da volontari che fanno sentire la loro presenza: “good mornig guys, have a good marathon!”. Appena scesi dal bus ci aspettano una decina di poliziotti per un controllo con metal detector ed una breve perquisizione delle borse e degli effetti personali. Il dispiego di forze militari e di volontari è impressionante, ci si sente parte di un flusso umano continuo e variegato, all'interno di una macchina organizzativa perfetta e ben coordinata. Il villaggio di partenza è organizzato in una zona a bassa densità abitativa, lontano dai grattacieli della grande mela e si è accolti in un clima da campus universitario, fra edifici di mattoni che paiono finti, prati curati e viali di aceri dai colori autunnali; in lontananza i piloni del ponte di Verrazzano, unico riferimento vero per la partenza. Il nome del ponte fa capire subito che l'Italia è lì, non è distante e che fa parte delle “hands, that built America” ovvero delle mani che hanno costruito l'America. Il suo nome è dedicato al navigatore italiano Giovanni da Verrazzano, primo europeo secondo i libri di storia a raggiungere, nel XVI secolo, la zona della foce del fiume Hudson e quindi la zona di New York. Aperto al traffico nel 1964, attraversa il braccio di mare The Narrows congiungendo i due quartieri newyorkesi di Staten Island e Brooklyn. Il villaggio di partenza è organizzato a colori, in base al numero di pettorale precedentemente ritirato. Dopo il tempo di 3h34' alla maratona di Torino del 4 ottobre mi ritrovo inaspettatamente nella prima batteria di partenza. In loco vengono distribuiti ogni tipo di integratore alimentare, oltre a tè, caffè, acqua, frutta e cibi vari, cappelli colorati e plaid per mantenersi caldi, capi di abbigliamento tecnico anche di un certo costo, ma io naturalmente di tutto ciò non porterò a casa nulla perchè ho già consegnato la mia borsa ad uno dei centinaia di corrieri UPS perfettamente allineati e numerati mezz'ora prima, dannazione. Dopo attimi passati a passeggiare e dopo aver fatto qualche fotografia al contesto, decido di entrare nella mia griglia di partenza. Li oltre a trovare un numero infinito di servizi igienici l'organizzazione ha disposto dei contenitori dove riporre dei capi di abbigliamento da regalare agli homeless newyorkesi, ai senzatetto. Mi pare una bella cosa visti i numeri della maratona, nella terra del consumo più sfrenato. Lascio una bella giacca spessa che mi ero portato appositamente da casa, spero possa essere d'aiuto a qualcuno meno fortunato di me. Dopo una certa attesa aprono i cancelli e mi ritrovo ai piedi del ponte di Verrazzano, struttura slanciata paragonabile ad un fisico da corridore, tendini di acciaio e masse muscolari leggere. In cielo iniziano a comparire elicotteri, prima uno, poi due, ne conterò una decina. Il clima si fa surreale, si vede un aereo che vola ma è fermo su se stesso. Come è possibile, mi chiedo. O un aereo vola o è fermo su se stesso..!Va bè, va bè..scene da film insomma, ma questo non è un film. In queste cose gli americani ci sanno fare e bene. La regia dello start è affidata al celebre regista e cantante rapper Spike Lee, nota figura controversa del panorama cinematografico e musicale americano, che introduce un inno nazionale cantato in lirica preceduto da qualche attimo di silenzio. Qualche mano sul petto per qualche patriota che sente particolarmente il momento, i cappelli che scoprono quasi tutti i capi tranne per un tizio vicino a me, sulla cinquantina, che mastica una gomma da masticare a bocca aperta stile teenagers strafottente e porta sulle orecchie due cuffie giganti anni '80 con tanto di musica rap a tutto volume. E' girato di spalle al palco, già proiettato nella sua gara e si manifesta ostile all'ascolto dell'inno ed aggressivo nei confronti della nazione che lo ospita: o è un evergreen oppure un visionario, forse tutti e due ma mi è molto simpatico. Poco importa, pochi istanti dopo e...boooom!!! Un boato, uno scoppio, accompagnato da una esultazione collettiva e dalla voce dello speaker che si fa sempre più accesa e insistente...partiti!! I primi chilometri sul ponte si vivono un po' nell'intasamento e nell'incitazione collettiva, il colpo d'occhio è notevole, 6 corsie nei due sensi di marcia davanti a me, piene, stracolme di persone che corrono. Un mix di colori, nazioni, sessi, idee uniti per 26 miglia esatte da una stessa passione, uno spettacolo. I primi quartieri attraversati scorrono via veloci, fin troppo forse, la gente a bordo strada è tanta, il tifo da stadio condiziona. Per tutti è un giorno di festa. Bambini e grandi sembra non aspettino altro di vedere qualche connazionale, di poter stringere una mano o dare qualche incitamento. I migliori incitamenti che ricordo messi in pennarello indelebile nero su cartoncino verde e rosa fluorescente “you're my heroes !” “up here to have the power!!” con tanto di cerchio dove toccare. Un fiume di umanità ai margini ed in centro strada. Ad ogni miglio, sono decine i musicisti che si esibiscono, si passa dal jazz al blues, dal rock and roll al rap nel giro di qualche isolato. NY è musica. Per strada si vedono dei preti, degli ebrei, persone di colore, cinesi, nazioni e religioni diverse in un'unica nazione: l'America. Sempre puntuali ad ogni miglio compaiono batterie di rifornimenti principalmente acqua e bevande energetiche, molti anche i servizi igienici. Dopo una decina di chilometri comprendo subito la mia situazione fisica non ottimale e decido di godermi al 100% questo evento correndo, camminando, guardandomi intorno e facendo anche qualche foto e video qua e là. I momenti più duri in assoluto li ho vissuti sul ponte del Queensboro che collega il Queens a Manhattan; un mostro di acciaio e cemento su due piani per quattro corsie, in perenne salita con un vento freddo che ti taglia in due dalla vita in su. Dopo il giro di boa nel Bronx e gli ennesimi ponti, gli ultimi 10 km in Central Park riassumono tutte le emozioni vissute in precenza, ma espanse come in un caleidoscopio. Il percorso interno del parco, all'inglese lascia emergere tutta la bellezza di questa isola verde all'interno del mare costruito. I viali, larghissimi e ancora ombrosi lasciano intravedere sotto il fogliame ceduo i risultati dell'epopea realizzata dai bankster (somma delle parole bankers e gangster) ovvero la particolarità della città in verticale. Tantissimi i modi di partecipazione: chi di corsa, chi camminando o alternando camminata e corsa, handbike, persone in carrozzina con disabilità motorie ed anche non vedenti. Già, si può correre anche senza vedere o sentire..3-4 pacers messi attorno alla persona dallo staff.. ed io che mi lamento della noia di correre al buio! Altri pianeti, altra determinazione. Dopo aver tagliato il traguardo in 4h10' circa mi son reso conto che la maratona non era ancora finita. Per un paio di chilometri o più non è consentito sedersi o fermarsi ed ogni 10 metri è presente un motivatore con tanto di pettorina che ti aiuta psicologicamente a non arrenderti e ad andare avanti. E' una particolarità che fa comprendere il grado di organizzazione raggiunta. Porto con me un ricordo bellissimo nonostante la fatica e la scarsa forma fisica, sarà un sicuro arrivederci cara NY .
Buone corse a tutti ed un caro saluto.
A presto
Marco Barberis