La Maratona di Alessandro Ponzio
La Maratona di Alessandro Ponzio

 

Quando mi è stato comunicato che avrei dovuto raccontare la mia Maratona di Atene ho subito capito che sarebbe stato difficile. Troppe sono state le emozioni e i sentimenti provati in quella che è la maratona autentica, con la M maiuscola. Vorrei poter condividere con tutti voi lettori le sensazioni provate, ma mi rendo conto scrivendo che solo chi le ha vissute dal vivo può effettivamente capirle fino in fondo. Tutto è iniziato in primavera, per la precisione fine marzo, quando mi è stato proposto di partecipare alla Maratona di Atene. In realtà avevo altri progetti, ma questa gara ha un fascino particolare e non potevo tirarmi indietro e così ho stravolto i miei piani e mi sono iscritto supportando la scelta anche dal nutrito numero di atleti/compagni/amici della Vigonechecorre che avrebbero partecipato. Da quel preciso istante, ovvero da quando ho dato il mio benestare all’iscrizione è partita la mia personalissima gara. Tutte le corse di lì in avanti erano rivolte alla Maratona di Atene. Inutile dire quanta fatica mi è costata questa impresa, fatta di rinunce e tanti sacrifici, finalizzati però ad un bene maggiore: tagliare il traguardo, arrivare alla fine e realizzare che sì proprio io ce l’ho fatta. Man mano che passava il tempo e macinavo km mi rendevo conto che questa non era una gara come tutte le altre, era la mia quarta maratona, ma aveva un qualcosa di speciale che mi intrigava e allo stesso tempo spaventava. Di per se quello che più mi preoccupava era il percorso, da molti ritenuto impegnativo. In più, si aggiungeva la complicazione della trasferta (Atene non è proprio vicino). Più si avvicinava l'8 Novembre più le domande e le incognite aumentavano: Cosa mangerò in Grecia? Che clima ci sarà? Quante salite ci saranno? Riuscirò a non stancarmi troppo prima della gara? Come starò dopo la gara? Riuscirò a finire la gara? Come saranno i tifosi Greci? Quanta gente ci sarà? Ecc..Con tutte queste domande sono partito insieme ai miei compagni venerdì 6 novembre con nel cuore la speranza che finisse tutto presto. Ormai la tensione era alta e non vedevo l’ora di finire questa “maledetta” corsa su cui tanto avevo investito, dovevo concretizzare i progetti fatti in otto mesi in un unico giorno, il giorno della gara. Nel giro di un giorno dovevo tirare le somme di mesi e mesi di allenamento. Un giorno per riassumere mesi di fatiche. Un giorno per capire se il lavoro di mesi era servito a qualcosa. Un giorno per capire se le fatiche erano servite a qualcosa. Un giorno che in realtà valeva 8 mesi. 42,195 km che in realtà ne valevano 1296 km, ovvero i km fatti durante tutti i miei allenamenti pre gara. Tanto per far capire a chi non è del mestiere, 1296 km sono circa la distanza che si percorre in macchina per andare da Torino a Lecce. Mica uno scherzo insomma. Non si può rovinare tutta quella fatica in un solo giorno, bisogna concretizzare. Tutti questi pensieri affollavano la mia mente la mattina di domenica 8. Nessuno lo dice, ma secondo me, il momento peggiore della maratona non è tanto la corsa in sé, nello specifico gli ultimi 4 maledetti km quelli che si corrono con il cuore, bensì il tempo che passa dalla sveglia del giorno della gara allo start della maratona. Quel lasso di tempo, variabile da maratona a maratona, per me è difficile da sopportare. Sono solo contro il mio avversario, me stesso. E’ bellissimo correre contro se stessi, contro i propri limiti. Poter dire che sì: sono andato oltre. Quindi quando verso le nove la corsa è iniziata io mi sono sentito rilassato, finalmente dovevo smetterla di pensare. Dovevo solo fare una cosa, allenata per mesi, un gesto semplice, ripetitivo: mettere un piede davanti all’altro. Insomma dovevo correre. La prima parte di gara è andata via liscia come l’olio. Il pubblico era stupendo e a suon di BRAVO ti spingeva a dare il meglio. Io in cuor mio consapevole del percorso e con l’incognita del caldo che mi attendeva verso la tarda mattinata, ho preso i primi km con calma dando al mio fisico il tempo di capire che effettivamente quello era il giorno X e non poteva proprio deludermi. Poi pian piano ho iniziato a carburare, che non vuol dire andare più forte, ma semplicemente rendersi conto con quale passo avrei affrontato la gara. Così verso il 15 km avevo capito che l’obiettivo prefissato era quello di stare sotto le 3 h 45 minuti. Era inutile tirare la prima parte per resistere la seconda metà di gara, che tra l’atro è anche la più impegnativa sotto il profilo altimetrico. Con le idee chiare e con la costante presenza dei miei compagni (prima Massimo, poi Mimmo e infine Piero) ho messo un piede davanti all’altro fino ad arrivare lì dove dovevo assolutamente arrivare, ovvero allo stadio Panathenaic ad Atene. Ora a distanza di giorni mi sale ancora un brivido a pensare a quell’arrivo. Provo a raccontare la dinamica: ero distrutto, avevo perso il conto dei km fatti al 38esimo. Faceva caldo e insieme alla fatica accumulata lungo il percorso, pur bevendo, non alleviavo la mia arsura. Le gambe erano dure e ogni passo era faticosissimo, la voglia di fermarsi e camminare era tanta, ma non potevo. Mi continuavo a ripetere che se correvo finiva tutto prima, che se camminavo la tortura continuava. Avrei voluto farmi trascinare dai miei pensieri e lasciarmi abbandonare in quella sorta di limbo di apatia che la mente prova disperatamente a farti accettare (non so a voi, ma io in quei momenti vorrei tanto dormire, mi sale una voglia irresistibile di sdraiarmi e dormire). I crampi iniziavano a diventare una presenza costante e nel tentativo di contrastarli puntavo il tallone forte sul terreno, costringendo quindi la schiena a sollecitazioni troppo elevate. Ero al limite quando ho capito che ci stavo riuscendo, stavo per tagliare il traguardo. L’immagine è nitida nonostante gli occhi erano velati dalla fatica. In una curva a gomito vedo una bandiera italiana sventolare e sento ALE ALE!! Quelle parole mi svegliano dal torpore e mi rendo conto che mio padre mi sta porgendo una bandiera italiana. Vederlo lì è stato emozionante, se uno ci pensa la maratona non la fanno solo gli atleti. Loro almeno corrono, provano emozioni forti, si sentono grandi. Gli spettatori, invece, aspettano e aspettano. E di solito non aspettano poco. Noi mettiamo un piede davanti all’altro, loro stanno fermi ad aspettarci, un’attesa lunga per poi magari vedere 3 secondi il proprio atleta passare. Non è un mestiere facile quello del supporter, ma vedere l’entusiasmo di mio padre e della mia famiglia mi rende orgoglioso, orgoglioso di loro e di me stesso. Comunque, ero rimasto alla bandiera, la afferro e svolto l’angolo e booom mi trovo davanti lo stadio. Uno stadio storico, in marmo bianco, gigantesco, con la pista di atletica nera. Alla sua vista do fondo alle ultime forze e faccio uno scatto (cavolo è stato un bello scatto, avrei dovuto diluire quelle forze lungo il percorso e non spararle tutte alla fine..pace..). Comunque con la lingua tra i denti e le lacrime agli occhi percorro gli ultimi stupendi 195 metri e taglio il traguardo. Ho corso la Maratona di Atene e l’ho finita. Cos’altro aggiungere?!

 

PS: un grazie sentito a tutti i miei amici della Vigonechecorre e alle loro famiglie. Correre con loro è stato bellissimo, sono felice ed orgoglioso di far parte di questa società. Con loro sono riuscito a trovare un giusto mix di amicizia, solidarietà e rivalità che mi sprona a continuare a correre e a non accontentarmi.

Un grazie sentito ad Andrea, la guida/supporter/medico, che mi ha aiutato ad apprezzare Atene come città

Un grazie di cuore alla mia famiglia che mi è stata vicina lungo tutto il mio percorso di avvicinamento alla maratona. Non è facile sopportarmi, tendo a parlare solo di corsa e quando non lo faccio parlo delle mie paure e dei miei dolorini, in definitiva sono monotematico..

Un grazie particolare a mio padre che con il suo entusiasmo mi ha donato le energie necessarie per finire la gara. Sapere che hai qualcuno al traguardo ti costringe ad arrivarci, altrimenti cosa fa tutto il tempo là..